domenica 29 dicembre 2013

Quando la terra trema. Napoli, 29/12/2013

Napoli, 29 dicembre, ore 18.08. Ero alla fase finale del "pranzo domenicale napoletano": quattro ore di delizie in stile "La grande abbuffata" cucinate da Rosaria, ottima che ha ospitato noi veronesi abituati a risottini e, normalmente, a pranzi domenicali che si e no durano un'oretta o poco più. Troppo, per noi veneti. Ma anche troppo buono...
Eravamo una decina, attorno al tavolo imbandito da cannoli, cassata, torta ricotta e pere, l'immancabile pastiera.
Sono sincera, e non per minimizzare l'evento, o ridicolizzarlo, non sia mai, ma solo perché è la verità: avevo mangiato così tanto, che la sedia che oscillava credevo fosse uno svarione da semi coma-glicemico. Poi qualcuno ha cominciato a dire "o' terremoto" e poi "sì, guarda il lampadario come oscilla". Se ci pensiamo bene, succede sempre così.
Quindi, alzando gli occhi e vedendo il lampadario ballare, ho realizzato che anche la sedia su cui ero seduta continuava effettivamente a muoversi, ma non era colpa di una sensazione sbagliata. Era vero, c'era il terremoto.
C'è chi si alza, mentre fuori, sulle scale del palazzo si sente qualcuno parlare ad alta voce, direi quasi urlare. 

Intanto la via si riempie di persone uscite dalle proprie abitazioni o dai negozi. Ci si guarda un po' attorno, si telefona, le linee si intasano, il cellulare perde la connessione in un nano secondo; c'è chi si affaccia dal balcone e parla con il dirimpettaio: "la mia veranda faceva così", mima lo scossone una signora dal suo balcone. 
Chi è suscettibile, chi meno; ma non ci si abitua mai, a eventi come questo. Ricordo (quasi) due anni fa ormai, quando la terra ha tremato a Mantova, portando la distruzione che tutti abbiamo visto in tv e sui giornali. 

Sarà ormai passata quasi una mezz'ora, forse di più, e si cercano le prime notizie in tv nei tg mentre come sempre Twitter e il web hanno anticipato tutti: e a tavola il terremoto è diventato l'argomento principale.
Rosaria non finisce il suo caffè. "Non ce la faccio a finirlo", dice scuotendo il capo. Paura? "Eh, mi è venuta una cosa 'ca", spiega toccandosi il petto. Era il 1980 e lei era una giovane mamma quando a Napoli ci fu un terremoto molto più spaventoso, dove morirono delle persone. Rosaria se lo ricorda bene.
E anche se allora non c'ero ancora, anche se quel terremoto non l'ho vissuto, per il resto della serata i miei occhi (e non solo i miei) non si sono staccati da quel lampadario.

lunedì 14 ottobre 2013

Zumba-pensiero

La Zumba l'hanno inventata per dimagrire, tonificare e nello stesso tempo divertirsi. Ora, io ringrazio chi se l'è inventata, aveva tutte le migliori volontà, accidenti. Tuttavia la triade dimagrire-tonificare-divertirsi è piuttosto azzardata.
By the way, tutto sommato non è male. Anzi, io mi sono pure esaltata quando hanno messo a tutto volume Blurred Lines (tra l'altro, non capisco perché questa canzone "non rispetta la dignità femminile". Ci si dovrebbe indignare quando vieni a sapere che ti escludono a priori per un lavoro perché sei donna e con il ciclo, non per una canzone ammiccante).
Dicevo, con Blurred Lines ti esalti anche, e inizi a seguire le mosse ancheggianti e saltellanti dell'instancabile istruttrice. E sì, entri nel Zumba-pensiero, e ti piace, il sangue pompa veloce nelle vene, il tuo corpo si risveglia, i tuoi muscoli guizzano, ti senti come mai prima. Viva, in forma, persino felice di sudare (!?!). Ti senti anche bella, e il ritmo latino ti fa sentire un po' come Jennifer Lopez, anzi, di più, come Belèn (che è sempre un mito irraggiungibile).

Poi, fai il drammatico errore: ti volti e ti vedi allo specchio.

Quell'immagine riflessa con i rotolini non può essere la tua: ti eri messa anche i pantaloni neri, lunghi e larghi, perché il nero smagra! E perché invece di saltare come Jennifer Lopez sembri un'antilope fatta di crack?
E allora non ci credi, dev'essere lo specchio che ha qualche problema. Poi ti guardi bene in faccia e ti accorgi che invece sei proprio tu.
È allora che scatta l'effetto Bridget Jones e saltelli ancora più in alto, allo stremo delle forze, al limite dell'arresto cardiocircolatorio sempre dietro l'angolo, visto che il principio base della Zumba è non fermarsi mai (e urlare di tanto in tanto, per esorcizzare il collasso imminente).

La lezione finisce, sei sempre tu, con i tuoi rotolini. Il miracolo Zumba non si è ancora manifestato e tu non assomigli a Belen e neanche a J.Lo. Magari, dopo la prossima lezione...

venerdì 4 ottobre 2013

Europa che?

Una delle regole del giornalismo è "fa più rumore un morto sotto casa che cento morti dall'altra parte del mondo", su per giù.
Bene, i morti a largo di Lampedusa stavolta sono 111 (per ora), e l'Italia non è esattamente "dall'altra parte del mondo". Stavolta (perché non è la prima volta), pare che l'Europa l'abbia per lo meno ammesso. Magari non capito, ma almeno ammesso (a parole: i fatti sono un'altra cosa) 
Orrore, tragedia, vergogna. Ce ne sono tante, di definizioni adatte.
Io la chiamo ignavia. Quella di un'Europa dei mercati e dello spread - ma non dei popoli - che non guarda in faccia le persone, neanche i morti. Europa che?
Non sono per la politica di "rimandiamoli indietro", ma l'accoglienza deve esserci se si può garantire loro il minimo di qualcosa. Organizzare un sistema che funziona, dall'accoglienza, all'integrazione nella società, dall'abitazione al lavoro. E non solo in Italia: da qui il loro presente deve ripartire, per diventare futuro, nel nostro paese o in un altro. 
Non è sufficiente rinchiudere questa gente in centri per l'immigrazione per mesi, per poi metterli su un treno e recapitarli come pacchi postali nelle varie città italiane: non è quello che cercano, non è quello che vogliamo. Ci rimettono loro (quando qui ci arrivano vivi), e ci rimettiamo anche noi.


domenica 15 settembre 2013

Il sogno di Marco

Rieccoci qui dopo l'estate. Potrei raccontarvi di isole lontane, bikini striminziti e signore affezionate alla chirurgia plastica. Oppure di quanto sia charmant il Festival del cinema di Venezia (o di quanto sia davvero bello George Clooney dal vivo). O, ancora, di come sia frustrante dopo una settimana fuori dal mondo, rientrare, leggere i giornali e constatare che non è cambiato nulla.
Anzi, no, una notizia che merita c'è, ed è il ritorno a casa di Domenico Quirico, giornalista de La Stampa rapito in Siria: lo stavamo aspettando da 5 mesi.

Ma oggi non voglio parlare di niente di questo.
Ieri ero invitata al 36esimo compleanno di Marco, nel giardino di casa dei suoi genitori, la loro è troppo piccola per ospitare tutti noi: una bella occasione per rivedere lui, la sua dolcissima moglie, il bassotto Muffin e tutti gli altri amici. Al momento del brindisi Marco inizia il discorso "c'è un doppio motivo per festeggiare". Subito tutti abbiamo pensato a una cicogna in arrivo e abbiamo squadrato sua moglie.
Ma l'annuncio era per un nuovo, ritrovato lavoro, che per Marco mancava da quattro mesi.
Quattro mesi fa Marco ha visto il suo futuro andare in frantumi come cocci: "ci dispiace ma non sei più parte di quest'azienda" gli hanno detto. Crisi e tagli, una storia come tante, nè migliore nè peggiore di altre.

"Adesso posso ricominciare a sognare"
E il sogno, per lui, non è una macchina costosa. Non è una barca, una vacanza, una seconda casa al mare o in montagna... È una casa (una) dove vivere con sua moglie e magari avere uno, due figli, farli studiare, vivere insieme con dignità. 
L'applauso fragoroso e le grida di eccitazione di noi amici, che si sono sollevate al suo annuncio mi ha fatto venire la pelle d'oca. Tanto più quando suo padre ha commentato che una volta, per un annuncio così, le reazioni erano diverse, più contenute, perchè avere un lavoro era normale, arrivava e basta, fino alla pensione. 

Viviamo gli effetti sulla crisi sui nostri affetti.
E scopriamo che la speranza di questa generazione per il proprio futuro è, intanto, averne uno. Ci basta la dignità.

In bocca al lupo a Marco e a tutti quelli alla ricerca di un futuro: mi piace pensare che alla fine i sogni si avverino...

lunedì 22 luglio 2013

#SocialBaby

Non era ancora nato e il terzo in linea di successione al trono, alias Royal Baby, il figlio di William e Kate era già famoso.
E non perché ne sto parlando io, di grazia: centinaia di giornalisti assiepati davanti al St. Mary's Hospital, copertine sui giornaletti con tanto di sosia di Will&Kate che si abbracciano felici e, soprattutto, migliaia (milioni!?) di tweet, oltre che due account Twitter (royalbaby @middletonchild e @RoyalFetus).

Oh, my God. Il primo principino social della storia è finalmente arrivato.
Consola il fatto che la povera Kate avrà sudato sette camicie imprecando al suo William, proprio come avrà fatto la signora indiana al terzo piano e al terzo figlio (magari in un ospedale a Mumbai). Consola il fatto che questo #RoyalBaby è venuto al mondo come qualsiasi normale bambino. Consolano questi sprazzi di informale normalità, perché niente, al di fuori di questo e di poche altre cose nella sua vita sarà "normale". 
Ma scusate, uno che ogni secondo conta una dozzina di tweet, prima ancora di nascere, vi sembra avrà una vita normale? Suvvìa... non prendiamoci in giro.

Perché succede? Perché ci appassionano? Perché, insomma, persone che nemmeno sanno che esistiamo, e che non cambieranno mai la nostra vita, ci interessano tanto? 
Secondo voi scatta la stessa cosa che scattava a mia zia quando guardava e si appassionava alla telenovela Topazio e di cui non si perdeva nemmeno una puntata, o c'è di più? 

Loro non sono, in fondo, come le rockstar che con la loro musica danno ritmo alle nostre giornate, o scrittori che con le loro parole condiscono la nostra esistenza.
Ma ci piacciono, ci scaldano il cuore: la loro favola, diventa la nostra, anche se solo un po' . 
Una favola che continua, una saga che ci coinvolge, crea empatia (sì, come mia zia con Topazio, in un certo senso), proprio come i libri che leggiamo e che ci appassionano o i film che andiamo a vedere, solo che questa favola è reale - scusate il gioco della parola "reale", ma non ho resistito...-

E qui viene il bello: perché twittiamo? Smania di mettersi in mostra e di essere re-twittati? Voglia di "esserci dentro"? (cfr Gianni Riotta @riotta: i suoi corsi ti aprono il terzo occhio).
Voglia di non perdersi un momento della loro, della nostra storia che a distanza di trent'anni rivedremo in tv quando il piccolo in questione diventerà a sua volta papà come sta in effetti accadendo con le immagini di Diana quando uscì dal St. Mary's Hospital, 31 anni fa, il pargolo William in braccio? 

Twitto, ergo sum?

Forse. Sono, credo, tutte risposte accettabili, possibili, forse tutte giuste o forse tutte sbagliate.
Detto ciò, credo che la risposta sia che esserci dentro è uno sballo: è meglio che farsi di LSD (non ho mai provato, ma la faccia di Mick Jagger negli anni '60 diceva molto); il #SocialBaby ti trascina in un turbinio senza confini, ti rimbalza a 200 all'ora tra un tweet e l'altro, creando comunità, continuità, connessione tra individui, storie, mondi, vite assolutamente diverse, con nulla in comune, se non il #RoyalBaby (ho retwittano il tweet di un giornalista della BBC fuori dal St.Mary's: ne ho la prova).

Alla fine noi esseri umani, anche nell'era social, non smettiamo di fare quello che facciamo dall'inizio dei tempi (a parte riprodurci, cosa non estranea nemmeno ai reali: si fa in quel modo lì, a prescindere).
Siamo fatti non per vivere come bruti, ma per stare insieme, per aggregarci, per provare emozioni, sulla piazza vera o virtuale che sia: siamo, da sempre, sociali.

lunedì 15 luglio 2013

Senza pregiudizi

 Era da molto tempo che non facevo una bella chiacchierata in treno. Di solito leggo un libro, sfoglio una rivista provando una sana invidia per le modelle (e per quello che indossano), guardo fuori, scrivo -come sto facendo ora che sono sulla via del ritorno.
Invece stamattina, sul regionale che mi portava in quel di Venezia, davanti a me c'era Eloise: 28 anni e da 20 in Italia, arriva dalla Costa D'Avorio. È sveglia, spigliata, con un bel caratterino e con le idee molto chiare di come funziona il mondo. Inevitabilmente la nostra conversazione, iniziata con lei che ha mal di testa e io che le passo un Oki (ho una mini farmacia nella borsa) finisce lì: il ministro Kyenge, l'uscita di Calderoli, l'Italia e gli italiani. 
Lei alza gli occhi al cielo, giustamente... "questo poi, mamma mia". Ma invece di inveire contro Calderoli e dire frasi sprezzanti e cariche d'odio tipo "al nord siete tutti razzisti", che diciamo, era qualcosa che mi aspettavo da parte sua che rappresenta la minoranza, Eloise mi pone il problema sotto un'altra angolazione. Più vasta. Più generica, globale, un problema comune, eppure centra l'argomento. "Sai, in Italia il punto è che la gente dovrebbe aprire di più la mente. Qui non ci rendiamo conto che in altri governi di altri Stati sono da tempo presenti persone di colore, e nessuno si sogna di dire mai nulla, di offenderli. Bisogna aprire la mente". 
E su chi arriva in Italia dice la verità, quando ammette che "Anch'io avrei paura ad aprire le porte di casa mia a uno straniero. Dalla parte dello straniero, invece, spesso c'è la paura di integrarsi. Ma se l'integrazione non funziona, mi spieghi che ci sto a fare qui?"
Eloise ha viaggiato, ma sua madre è rimasta a casa e il padre vive in un altro Stato. Eppure lei non si lamenta, non fa la vittima. Può essere malinconica a casa, ma al lavoro ha sempre il sorriso. "Quando chiamo a casa e racconto che ho litigato con il mio fidanzato -italiano ndr- mia mamma mi dice 'stai attenta! Magari ti ammazza!'. Tutto il mondo è paese, i pregiudizi ci saranno sempre. Ma lo sai che quando torno in Costa d'Avorio in aeroporto mi dicono 'ecco che arriva la mafiosa'? Ti sembra bello? Lo dicono persone di colore come me che lo vedono dal passaporto che sono nata lì, anche se vivo in Italia", dice con un curioso accento metà francese e metà veneto. Ce ne fossero, come lei: non avremmo il problema dell'integrazione.
Già, grazie per avermelo ricordato Eloise. Tutto il mondo è paese, i pregiudizi sono duri a morire, ma a volte questo Paese, proprio per questo motivo, bisogna fare di tutto per cambiarlo (e possibilmente in meglio). Senza pregiudizi.

domenica 23 giugno 2013

Il Segreto di Vittoria

Non so voi, ma dal mio parrucchiere guardo più tv che a casa. Ci sono piccoli schermi ovunque, sintonizzati su un canale non meglio identificato, che il più delle volte mostra sfilate d'alta moda no-stop, eventi hollywoodiani, roba di classe insomma, dove normalmente l'unico uomo che si vede in giro è Karl Lagerfeld.
E poi arrivano loro: gli "angeli" di Victoria, quelle di Victoria's Secret insomma. Stavolta il set è una spiaggia, tipo Big Sur, con classico soletto del tardo pomeriggio e loro che giocano e scherzano spensierate tra le onde.
Ragazze così davvero (e qui lo dico senza alcuna invidia, se mai stupore) non puoi far altro che constatare una cosa: sono bellissime. Bellissime. 
Iniziamo dai capelli. Visto che sono dal parru, è logico iniziare da lì: oltre ad averli lunghi e lucenti e di una tinta che non ti riuscirà mai di replicare, Madre Natura ha dotato gli Angeli di Victoria pure di un'attaccatura sublime. Che c'entra l'attaccatura dei capelli, direte voi. Eh, c'entra, c'entra. Se non mi passo la piastra  la mia frangia si apre in due come il mar Rosso con Mosè. La loro no. Sta lì, perfetta. Arriva un po' di vento? La loro frangia fluttua, e poi si risistema. 
Il viso: se le avesse viste Leonardo Da Vinci la Gioconda avrebbe avuto altre proporzioni. Non riesci a staccare gli occhi di dosso da quel viso da bambola, gli occhi da cerbiatta il sorriso da far invidia a Barbara D'Urso nella pubblicità della Vitaldent sugli autobus. (E ti chiedi, perchè loro si e io no??? Qui l'invidia c'è...)
Il corpo. Be', sfilano, sono modelle. E questo dovrebbe bastare a far capire che sono di una specie superiore alla tua. Spero di non incontrare mai una: mi sentirei un carciofo (e pure stagionato). Eppure, nonostante l'attaccatura dei capelli, nonostante il visino perfetto e i denti bianchissimi, è lì che la tua attenzione si concentra. Sulle coscette magre, sul culetto sodo e zero pancia. Ti dici, almeno saranno piatte! ....Tsè....

Una signora sulla settantina mi si siede vicino: deve risciacquarsi la tinta, e se qualcuno non viene a lavarmi la mia, di testa, la crema prima o poi mi si solidificherà ...
"Certo che ci fan vedere queste così perfette, ti viene la depressione", mi lancio io in cerca di solidarietà femminile.
"Mah, non tanto."
"Cioè?" le chiedo curiosa dimenticandomi del cemento che ho sui capelli.
"Loro saranno sì perfette, ti verrà a che la depressione, ma poi quando andiamo al mare quante ne vedi come loro? Nessuna. Nessuna di noi, nella vita vera, è perfetta. Tutte abbiamo i nostri punti critici e i nostri difetti, chi in un posto chi in un altro. Non ce n'è neanche una così, al mare, si fidi signorina...!"
Ci penso su e cerco di ricordare la mia ultima vicina di ombrellone. E concordo pienamente, sentendomi già più rilassata, mentre il mio livello di autostima comincia pian piano a ritornare a livelli normali.
 "Be', sa che in effetti ha ragione signora..."
"Vittoria. Mi chiami pure Vittoria."

venerdì 21 giugno 2013

Effetti collaterali


"L'avete sentita?!" 
"No, che cosa?" 
"C'è una scossa!"
Un secondo, forse meno per rendermi conto che la tenda stava oscillando come il bacino di una ballerina hawaiiana e così pure la mia incasinatissima scrivania. Ops, anch'io. 
Uly, la mia estroversa quanto sensibile collega, ha iniziato ad agitarsi: lei che abita in montagna il terremoto l'aveva sentito ancora martedì - non oso pensare a chi stava guardando in tv l'esorcista...-  e non aveva dormito la notte (e poi ditemi che le due scosse non sono collegate, dai, ditemelo!). 

La paura, l'ansia, la strizza insomma, ha contagiato presto anche noi altre tre che cercavamo inutilmente di rassicurarla "È finita, è finita... passata... vedi?", anche se mentre lo dicevamo non ne eravamo del tutto convinte: si trattava più di un'opera di auto convincimento, un karma per non farci venire un infarto al lavoro. Incredibile come chi ti sta intorno riesca a fare la differenza: agitare o calmare. Chissà perché anche terminata la scossa mi sentivo come se avessi bevuto troppi Spritz (nel mio caso ne bastano due): ubriaca. 

Inutile, al terremoto non ci si abitua mai. 
E così un tranquillo venerdì mattina (quasi noioso, ma evidentemente era la quiete prima della tempesta), è diventato schizofrenico. 
Meglio essere allegramente imbranate come me, e non accorgersene: l'inconsapevolezza è molto meglio (altre volte ci puoi rimettere la pelle, ma per fortuna non è il nostro caso...). Sta di fatto che come in un film mi sono ricordata di tutti i terremoti vissuti nelle mia vita, ultimo quello dell'anno scorso (e per la cronaca, ero nel mantovano, quella notte).

Posto che la scossa non era come quella dell'anno scorso, e nemmeno come quelle che vediamo registrate dalle telecamere a circuito chiuso negli uffici in Giappone, la paura c'è stata.
Un'altra volta, come in un remake.
 Niente danni, una scossetta da niente, in fondo, qui nel veronese. Ma è quello che percepiamo che fa la differenza, e che l'idea che quello che è accaduto possa ripetersi. Ti scatta qualcosa in testa. Non è un'anomalia, è la natura umana, il nostro istinto, che ci mette in allerta in caso di pericolo, basandosi sulle esperienze vissute.
E quando balla la terra sotto i tuoi piedi c'è poco da fare: l'istinto, quello primordiale oltre al personale vissuto, si scatena, perché il pericolo è reale. 

Per rendersene conto basta andare nel mantovano o in Emilia: interi paesi che, non poco lontani da noi, lo sanno bene e ne portano ancora le cicatrici.


mercoledì 19 giugno 2013

Notte prima degli esami

A guardarli bene fanno una certa tenerezza.
Qualcuno ha pure indossato giacca e cravatta per l’occasione. Altri invece se ne fregano e vanno con i soliti pantaloni strappati, graffiati, slavati, insomma, quelli che la mamma si chiede “ma in quale cassonetto li avrà trovati?”.
Comunque sia, lasciatemelo dire, sono stupendi: con gli occhi e le occhiaie che, nonostante la paura, brillano di speranza. Non solo di passare l’esame, ma di fare qualcosa di più.
È la gioventù signori miei, e ci piace, soprattutto man mano che passano gli anni (i nostri).

Oggi per loro è un giorno speciale, o se non altro, non è un giorno come gli altri: inizia l’esame di maturità.
Devo dire la verità: vederli mi ha emozionato, e non solo perché dalla mia, di matura, è passato un secolo. Piccole donne e piccoli uomini che stanno diventando adulti tra mille difficoltà che il mondo d’oggi ci sta generosamente regalando, erano intervistati dalle tv nel consueto servizio di inizio esami: con la loro voglia di vivere e di esserci, in un periodo storico che più che essere penalizzante fa pena, oggi i riflettori sono tutti per loro (sì, ok, c’è anche Obama al G8).
La verità è che questo esame per loro non è altro che una prova generale per gli anni che verranno: dall’alto dei miei quasi 32 (sic!) ormai posso dirlo, scriverlo e firmalo pure, se volete. Il punto è che questi donne e uomini del domani avranno un compitino per nulla facile: dovranno essere molto forti, e farsi delle belle ossa, perché spetta a loro rimettere in sesto il Paese, quando i vecchi baroni (in tutti i settori) lasceranno la poltrona (forse a un parente che ne continuerà la stirpe). 
Spetta a loro essere coraggiosi e fare scelte più sensate, anche sul percorso di studio che sceglieranno: auguro a tutti di guardare più alla sostanza delle cose che alla forma. Auguro loro che nella vita venga prima la famiglia, l’amore, i figli, gli affetti, e poi un buon lavoro, che permetta di realizzare i sogni e le ambizioni, oltre che a portare a casa il pane.
Auguro loro di essere innovativi, ma di ascoltare da chi ne sa di più: non c'è nessuno da rottamare, semmai, da cui imparare.
Auguro che la spensieratezza dell’estate della maturità (ce ne saranno poche altre così, fidatevi) duri un po’ più a lungo. Auguro loro di diventare degli eroi del loro tempo, e magari anche del nostro: ne abbiamo tutti bisogno.
Spero che i loro occhi e anche le loro occhiaie continueranno a dirci che loro ci sono, e sono qui per fare qualcosa di buono: è la speranza che riponiamo.



venerdì 7 giugno 2013

Una buona notizia

Tra le belle notizie che potevano arrivare, questa è certamente la migliore: Domenico Quirico, giornalista de La Stampa, inviato Siria e di cui non si avevano più notizie dal 9 aprile scorso, è vivo. Una breve telefonata alla moglie, e tanto è bastato a riaccendere la speranza. Perché, mi dicevo nei giorni scorsi, quando tutto taceva, uno non può sparire, essere inghiottito nel nulla così. Anche se era realistico potesse essere accaduto il peggio, mi piaceva pensare così non fosse.
Mi piace anche pensare che a smuovere le cose sia stato quel messaggio registrato a La Stampa, in cui le due figlie di Quirico, Eleonora e Metella parlano del loro papà in un video-appello diffuso dalle tv  in tutto il mondo, comprese Al Jazeera, tv arabe e Siriane. Un "papà ti aspettiamo" che mi ha commosso. Non voglio nemmeno pensare com'è vivere nell'angoscia, sapendo che tuo padre potrebbe non tornare, nemmeno sapendo se è vivo. 
Oggi la sua foto campeggia lì, nella prima pagina de La Stampa: è seduto sul marciapiede, un uomo lunghissimo e magro, computer sulle ginocchia. È l'immagine simbolo del giornalista, che mi ricorda quella di tempo fa scattata al grande Indro Montanelli.
Il mestiere è tutto lì: il dovere di raccontare è viscerale a tal punto da sentirlo come una missione, soprattutto ai livelli di Quirico e di tanti altri che hanno scelto la sua strada. Lo aspettiamo, come abbiamo fatto negli scorsi 58 giorni, ansiosi di leggere il racconto della sua avventura.

domenica 26 maggio 2013

Sms, tvb

Mi sono chiesta, sulla scia del boato mediatico che ha provocato, che cosa ne pensassi del famoso sms inviato da Dario Franceschini, pezzo da novanta del Pd, per appoggiare la sua compagna.
Tranquilli: io normalmente mi faccio domande e mi dò risposte. In altre parole me la faccio e me la dico.

Punto I. Franceschini non ha sperperato soldi pubblici per promuovere una personale campagna elettorale a favore della compagna, m ha usato il suo cellulare personale, ha scritto a 10 persone, che sono amici stretti. Quelli che insomma, ci si trova per un caffè, o a cena (e che adesso saranno 9).

Punto II. Ma se avesse spinto con sotterfugi e ammiccamenti poco leali alla candidatura della fidanzata io capisco pure. In fondo ci danno fastidio tutti coloro che sponsorizzano una moglie, un marito, un amante, un figlio, un cugino (e l'Italia, ahimè, è piena di questi esempi). La differenza sta proprio qui, nell'avere inviato un messaggio personale, senza costringere o ricattare nessuno (cosa che una volta a me successe: un "amico" mi prende da parte e mi fa "Dai Anna, dì ai tuoi di votare per quel ragazzo che gli ha regalato quella volta i biglietti per tal spettacolo". Non ho più votato per lui. E neanche i mei).

Punto III. All we need is love. Sarà pure retorico, ma brava la Santanchè: finalmente qualcuno che invece di sparare a zero facendo a pezzi gli avversari dice qualcosa di buono. Mi piace quando scende in campi questa Politica oltre le fazioni, non la politichetta gossippara e anche piuttosto squallida a cui siamo abituati da Arcore in avanti.

Punto IV, e ho finito. Posto che la scelta di ognuno è libera, per una volta non facciamo le pecore e pensiamo con la nostra testa. Tipo, leggiamo bene il testo del messaggio imputato: "Caro Xxx, se voti a Roma posso proporti di dare la preferenza a Michela Di Biase, la mia compagna, che si candida in consiglio comunale? Dario". Non c'è nulla di male in questo, non è certo riprovevole come mandare a casa una persona che lavora per piazzare la fidanzata. Questo sarebbe stato molto peggio, ed è lì che bisogna arrabbiarsi e sollevare uno spolvero e mediatico, magari sputando in un occhio a chi fa questo genere di cose. Perché, come dicevo, di esempi come questo su cui sarebbe giusto accanirsi, in Italia ce ne sono molti...

domenica 12 maggio 2013

La lezione di Olimpia

Quando si ha la fortuna di intraprendere un viaggio, staccando la spina con la vita di tutti i giorni, si impara sempre qualcosa. O per lo meno, si risveglia in noi (oltre che un senso di spensieratezza che la vita frenetica di ogni giorno ci ruba), anche un senso insito di coscienza, di consapevolezza. Su noi stessi, su quello che ogni giorno facciamo, su quello che diamo o potremmo dare per fare di più e meglio, o se invece stiamo dando forse troppo, sprecando così energia e tempo preziosi.

Nell'antica Olimpia, dove un gruppo di appassionati greci inventò i Giochi Olimpici tanti, tanti anni fa, ho riscoperto il significato della parola "onore", per esempio. L'onore ha tante sfaccettature: l'onore più grande e alto per me l'ha avuto chi ha combattuto per l'Italia e per la Libertà perdendo la vita, o chi prima di morire ha guardato in faccia i suoi assassini dicendo "vi faccio vedere io come muore un italiano". Ecco, questo è il più alto significato di onore che io conosca. Ma ci sono anche altre sfumature, che ben lo descrivono.

Zigzagando tra i preziosi reperti archeologici di Olimpia (c'è chi le chiama rovine, ma io preferisco chiamarli così), accecata da un sole di maggio che sembrava quello di luglio, ecco la rivelazione. Nel Gymnasium, dove i giovani atleti greci si allenavano, studiavano e imparavano (più o meno come nel ginnasio di oggi, ma senza fare scioperi perché la carta igienica è ruvida) ci spostiamo nel luogo dove gli atleti un tempo gareggiavano: l'antenato dello stadio. In molti viaggiavano chilometri per mare e per terra per competere lì per le Olimpiadi, in molti (spettatori compresi) morivano di sete o di caldo durante quei giorni. E chi vinceva era uno solo, non c'erano secondi, terzi, quarti classificati. Niente medaglie, né tanto meno quelle d'argento o di bronzo: il secondo arrivato era il più grande sconfitto.
Si imparava, ci si allenava, si sudava, si gareggiava, si vinceva per l'onore, non per premi e premiucci, non per soldi o per potere. Onore che chi oggi è al potere, chi "vince", non credo sappia cos'è. Hanno più onore coloro che rinunciano alle loro ambizioni, rinunciano ai loro sogni per spaccarsi la schiena lavorando, così da poter mantenere la famiglia, e magari far studiare i figli.
Hanno più onore ragazzi e genitori che per dieci mesi lavorano per mare, sulle crociere, lontano dalle loro fidanzate e dai loro figli di un anno, per poter guadagnare qualcosa in più.
Non è retorica, è che non ci si pensa abbastanza, perché sono mondi lontani, storicamente in un caso, socialmente in un altro. A volte, a fare la differenza in una persona, sia essa un politico o un operaio, una casalinga o una manager con tacchi a spillo, è solo questione di dignità: in una parola sola, onore.

giovedì 2 maggio 2013

Baby BANG


Mentre addentavo la mia brioche alla marmellata (con conseguenze catastrofiche), ho alzato gli occhi. Tra il via vai di prima mattina, nella pasticceria affollata da signore, nonnine arzille e impiegati e artigiani per un-caffè-al-volo prima di riprendere a lavorare, mi sono ritrovata davanti, nel tavolino di fronte, una pistola puntata.
A mirare dritto in mezzo alla mia fronte, mentre la marmellata traboccava sbrodolando da ogni angolo, uno spocchioso bambino di neanche sei anni, con i capelli rossicci, lentiggini e uno sguardo sadico. Strizza l’occhio per prendere bene la mira, puntella il gomito sul tavolino e sputacchiando fa il verso della mitragliatrice, mentre sua madre era indaffarata a parlare dell’ultima puntata di Uomini e Donne con la sua amica.
Io gli ho fatto una faccia tipo “Embè?” ho abbassato gli occhi (mentre probabilmente nella sua mente mi esplodeva la testa in una scena alla Quentin Tarantino), e ho continuato a mangiare la mia brioche.
Questa cosa apparentemente senza significato è successa ormai una settimana fa.
Io adoro Tarantino, e anche se il mocciosetto in questione (mannò, che dite? io adoro i bambini…) mi puntava in faccia una pistola giocattolo, vi dirò: non è stato simpatico. 

Certo, era una pistola giocattolo, ma ben fatta, l’effetto era piuttosto realistico. Chissà, forse non starei a pensarci ancora se oggi nel Kentucky bambino di cinque anni non avesse sparato e ucciso la sorellina di due anni con il fucile per bambini che gli era stato regalato dai genitori. O forse sì.
Il dibattito è tra i più accesi, anzi, forse il più acceso negli USA, soprattutto dopo la strage alla maratona di Boston, dove in molti hanno cambiato idea sull'appoggiare la campagna di controllo armi promossa da Obama, mentre noi dall’altra parte dell’Oceano stiamo a guardare, chi contro chi no, ma tanto il problema fortunatamente non ci riguarda, perché qui le pistole sono solo dei giocattoli.

I maschietti giocano con pistolette finte da sempre (per non parlare di quella di cui sono naturalmente dotati), non faccio la paternale e non mi metto certo a pontificare sull’argomento. Ma un limite deve esistere, altrimenti si continuerà a confondere la realtà da quella che è la finzione, il gioco. Un’arma giocattolo lo è finché rimane tale, è chiaro a tutti il concetto, ma il costruirne sempre di più reali, fa sì che questo confine si assottigli sempre di più, lasciando che anche la finzione faccia parte della nostra realtà, finché queste si confondono, finché anche uccidere diventa un gioco. Il mocciosetto crescerà e diventerà uomo. Chi me lo dice che non deciderà di farsi il porto d’armi e che non ammazzerà con la stessa facilità e leggerezza la fidanzata che l’ha lasciato?
Ora, il piccolo mostro probabilmente avrà già abbandonato la sua finta calibro 9 per la psp. Ma per una volta, tutto sommato, sono contenta sia così (sempre che non s’ammazzino anche lì…)

sabato 20 aprile 2013

Cambiare

Potrei parlare di quanto sia desolante questo scenario di politica agonizzante (Pd allo sfacelo, destra pure ormai da un pezzo, con il maschio Alfa Berlusconi che non molla; e i grillini-strillini che sono un muro di gomma contro cui rimbalza anche il buonsenso, tra le altre cose). Politici corrotti e impegnati a proteggere i loro interessi, che sono la vera vergogna di un paese in cui chi veramente questo Pese lo fa, paga e basta: gli italiani, con neanche mille euro di stipendio al mese, se uno stipendio c'è (e se il lavoro c'è). Ce ne sarebbero molte, di cose da dire.
Ma non sono un'esperta del settore, non c'è niente di più lontano da me della politica, quindi sono l'ultima a poter/dover parlare. Consiglio a tutti però di dare una letta all'editoriale di Mario Calabresi su La Stampa di oggi, il "mio" giornale. Un'analisi attenta, che aiuta a farsi un'idea non di parte.

Invece di commentare quando sia deprimente la situazione dopo la tempesta di ieri, vorrei guardare un po' più in là. E lo faccio citando uno il cui QI era un tantino al di sopra del mio. Perché penso che in fondo, a volte, anche i temporali più violenti siano necessari.
Da qualche tempo è diventato il mio personale mantra:


"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi (anche nei partiti, ndr) è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere 'superato'.

"Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. LA VERA CRISI È LA CRISI DELL'INCOMPETENZA. L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia di cercare soluzioni e vie d'uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine. Una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È NELLA CRISI CHE È ERGE IL MEGLIO DI OGNUNO, PERCHÈ SENZA CRISI TUTTI I VENTI SONO LIEVI BREZZE. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. FINIAMOLA UNA VOLTA PER TUTTE CON L'UNICA CRISI PERICOLOSA, CHE È LA TRAGEDIA DI NON VOLER LOTTARE PER SUPERARLA.

A. Einstein.

mercoledì 10 aprile 2013

Spam

Ieri, nella redazione de La Stampa, a Torino, è stato recapitato un pacco sospetto, un busta senza bolli né mittente. Come già saprete avendo letto dalle cronache e ascoltato nei tg si trattava di una busta bomba. Che solo per caso o per fortuna, almeno così pare, non è esplosa. L'innesco non ha funzionato, nel momento dell'apertura.
Io non sono una dipendente de La Stampa, non sono neanche una loro corrispondente. Sono solo una collaboratrice, una "piccola" free lance come ce ne sono tanti. Ma non so perché ho pensato subito ai colleghi, quando ho letto la notizia. Anche se sono una libera professionista senza fissa dimora, molti di loro li conosco, ci ho a che fare ogni giorno e ogni giorno queste persone lavorano per portare l'informazione a casa della gente, una buona informazione. Per questo sento quasi se la cosa toccasse, in un certo senso, anche me. Il mio pensiero subito è andato a loro, alle loro reazioni, a come devono essersi sentiti, posto il pericolo che hanno corso. È come se avessero toccato qualcosa che appartiene al mio mondo, con un gesto codardo e vigliacco che, come scrive Massimo Gramellini nel Buongiorno di oggi, non avrebbe colpito la Casta o i Poteri, ma avrebbe potuto far perdere una mano o un occhio a una persona con due figli, una casa, un mutuo.

Altri episodi simili sono accaduti negli ultimi mesi, oltre al caso de La Stampa ieri e ad altra "posta indesiderata", recapitata a un'agenzia investigativa di Brescia. Non voglio pensare a un gruppo organizzato dietro, anche se mi fa più paura un gruppo che non lo sia. Quello che penso ora è che quelle buste potrebbero innescare qualcosa di ugualmente pericoloso, nel cuore delle persone (impiegati, giornalisti): la paura. Non si dovrebbe andare al lavoro e aver paura di aprire la posta, non si dovrebbe tornare a casa e sentirsi fortunati di non averla aperta, o che 'grazie al cielo stavolta almeno non e scattato l'ordigno e non mi è saltata la mano', non si dovrebbe pensare cosa è stato fatto di così grave da indurre qualcuno a odiare (solo odio può portare a questo, e l'odio non porta mai a nulla) una persona, o un gruppo di persone, o chi le rappresenta: giornali, Enti. Non in un Paese civile, almeno. Ma a volte, viene il dubbio che il nostro effettivamente non lo sia.


lunedì 8 aprile 2013

Vinitaly show

Vinitaly 2013, anche quest'anno non me lo sono fatto mancare. E dire che sembrava solo ieri che facevo l'hostess ai tempi dell'Università (mi ricordo ancora che la sera andavo a letto e sognavo di lavare-asciugare bicchieri: un incubo).
Come quella volta che chiacchierando Luigi, il buon Luigi nello stand dove davo una mano, mi diede la dritta. Parlava di come la Germania avvicinasse sempre più la data della sua manifestazione vinicola alla nostra. Ti pare che me ne sto con le mani in mano? Io?? Allora ho passato tutta la pausa pranzo (tipo un quarto d'ora) nello sgabuzzino dello stand (tipo 1 metro per 1 metro), sommersa di scatoloni, bottiglie e bicchieri. Stretta in un angolino a scrivere e a telefonare ai piani alti dell'immensa macchina fieristica Veronese. Lì, da uno sgabuzzino. È divertente pensarci, soprattutto perché il pezzo il giorno dopo era l'apertura: schiaffo della Germania al Vinitaly, più o meno.

Di cose divertenti ne potrei raccontare molte altre. Che so, come negli anni più che Vinitaly fosse Ubriachitaly: ho assistito a scene in cui ragazzi in divisa dotati di piccoli ma efficienti kart elettrici trasportavano parecchi visitatori messi letteralmente ko dal tasso alcolemico eccessivamente alto. Quest'anno grazie al cielo non pare essere così: le date della fiera, tanto per cominciare, non terminano con il weekend ma iniziano di domenica. All'inizio di qualcosa si è sempre più rigidi (avete presente la differenza tra il primo giorno di scuola e l'ultimo?). E poi il prezzo del biglietto: neanche un alcolista pagherebbe tanto per entrare. Il che probabilmente era proprio nelle intenzioni della direzione.

Al Vinitaly anche quest'anno tanti bei personaggioni, a cominciare da Antonella Clerici, che ha presentato i vini del centenario del festival lirico, che iniziò il 10 agosto 1913 con l'Aida di Verdi.
Ma la sorpresa è stata nello stand del progetto VIVA. Parlo col titolare, che mi dice come il progetto sia stato promosso anche dal ministero dell'ambiente. "Toh, c'è il Ministro...". E mi ritrovo una accia più che nota: "piacere, Corrado". Clini in carne e ossa, rilassato dopo l'impegnativa giornata tra conferenze e inaugurazioni (e magari dopo qualche assaggio). Si concede alla mia videointervista. Sereno, tranquillo. Non gli faccio paura, non sono Santoro. Non ancora, almeno...



































sabato 6 aprile 2013

Non ci resta che piangere

Anna Maria e Romeo. Marito e moglie, lei 68 anni, lui 62, vivevano a Civitavova, nelle belle Marche. Vivevano, perché assieme, come lo erano da una vita, hanno deciso di suicidarsi. E con loro, a farla finita è stato anche il fratello di lei, Giuseppe, che non ha retto alla notizia.
Una tragedia dei giorni nostri, come se ne sentono tante, troppe. Ma sono anche vite sulla coscienza di chi comanda. Perché non sarebbe successo se non fossero stati abbandonati dallo Stato "stretti in una tenaglia mortale", come ha detto un vicino e come racconta La Stampa di oggi http://www.lastampa.it/2013/04/06/italia/cronache/civitanova-in-lutto-per-i-coniugi-suicidi-e-i-parenti-contestano-le-istituzioni-MGs8hFS3ibmcywER6AM4gJ/pagina.html.

Romeo, con la crisi nell'edilizia, aveva deciso di non arrendersi: aveva aperto partita iva, cercava di lavorare, voleva lavorare. Ma i contributi erano troppi, non riusciva a far fronte alle spese.
Sessant'anni, non venti o trenta, che al massimo puoi sperare che le cose vadano meglio, se non altro hai quella, la speranza. Quella di un futuro migliore.
Ma a sessant'anni no, pensi (pensi di sperare) solo a vivere bene gli anni che ti rimangono. E mentre sentiamo chi (come la Fornero) commenta 'addolorata' "hanno sentito troppo forte il peso della crisi", io mi chiedo: ma con che coraggio?

Io conosco i sessantenni di oggi, la stessa età dei miei genitori: gente con una dignità, che è cresciuta scrivendo a carta e penna e con la cultura della "bella scrittura", senza iPhone Tablet o altro. È gente che "tutto, ma i debiti no". Gente nata nel dopoguerra, cresciuta a pane e onestà, dove ci si metteva i vestiti della cugina, che a sua volta li aveva ereditati dalla sorella. Gente che l'Italia l'ha fatta con le proprie mani, tirandosi su le maniche, non a spread. Gente che i sacrifici erano all'ordine del giorno. Gente che ha avuto la fortuna di vedere come si stava prima che venisse alla luce tutto questo letame in cui siamo oggi e accumulato dagli anni 80 e forse anche da prima, questo vortice paradossale, un agghiacciante teatrino dell'assurdo e che continua ad autoalimentarsi grazie a chi è al potere e non fa quello che dovrebbe fare, grazie all'indifferenza.
Massimo Gramellini su La Stampa ha scritto un Buongiorno (che non è per nulla buono) esemplare, che vi invito a leggere: http://www.lastampa.it/2013/04/06/cultura/opinioni/buongiorno/la-realta-schiaffeggia-il-potere-gvchvFl22oirjM9cZEyfIL/pagina.html

Chi fa le leggi le modifichi, è lì per quello. Roba da Medioevo quella che stiamo vivendo oggi a livello istituzionale e politico in Italia. Dove addirittura si dice una cosa e il suo contrario, senza giungere a niente. Mi aspetto che chi oggi è al potere (ops, scusate, sarà al potere), si sbrighi a fare qualcosa. Gli converrà, sicuro. Altrimenti sarà difficile tirare su tasse (e soldi per i loro stipendi e pensioni d'oro) da chi giace sei metri sotto terra, schiacciato da una realtà senza senso, contraddittoria, infelice specchio dei tempi di quest'Italia ormai neanche più ridicola.

domenica 31 marzo 2013

Effetto Francesco

Austerità e contegno. Formalità nella forma e nella sostanza. Nella piccola chiesa alle porte della città si respirava quella noiosa aria di austerità e contegno da anni. Ogni Natale, ogni Pasqua, ogni Santa domenica. Niente coro, qualche voce. Un clericale, formale distacco tra il popolo di fedeli, sempre meno folto, e chi il popolo lo guida, predicando una Parola sempre meno ascoltata. Padre Nostro, Gloria. Messa finita andate in pace. Poche volte ho ascoltato veramente quella predica.
Tranne oggi.
Qualcosa è cambiato. Un linguaggio diverso, vicino alla gente. La Parola si è riempita di significato: stavolta il celebrante non era solo un sacerdote, ma un Uomo di Dio tra la gente, per la gente. Esempi concreti, parole semplici, vere. E ancora, la già citata Speranza, augurio per il nostro futuro che non stanca mai. Oggi ho capito che davvero la Chiesa sta ritrovando una nuova linfa, ci rende più partecipi, più interessati, più consapevoli. Questa è stata la mia Pasqua: con alla fine, un piccolo miracolo. L'anziano sacerdote che ho visto sempre da lontano, alla fine scende dall'altare, la sua figura cammina in mezzo alla gente, si avvicina alla porta di uscita e stringe la mano a tutti e a tutte, "Buona Pasqua", augura con un sorriso. Una carezza a una bambina, una stretta di mano al padre che la tiene in braccio. L'effetto Papa Francesco si fa sentire anche fuori da Piazza San Pietro, facendo grandi i piccoli gesti. Con segni come questo, che forse neanche sapevamo di aspettare.

Buona Pasqua a tutti!

lunedì 25 marzo 2013

La Speranza che c'è in noi (prima o poi)

Da una parte i 200mila giovani laureati senza lavoro e a caccia di un impiego, i 3 milioni di disoccupati di tutte le età, e i 2,8 milioni di precari (fonte: La Stampa). Il tutto, condito da una realtà corrotta (per non parlare della politica), spesso annaffiata di retorica e concimata di interessi che spesso e volentieri non sono proprio quelli per il bene della collettività.

Dall'altra parte un uomo, un Papa, che parla a una piazza gremita di quegli stessi giovani e dice: "non fatevi rubare la Speranza".
Lo scrivo con la S maiuscola, perché la Speranza è qualcosa di speciale, di importante, di prezioso. E che nessuno dovrebbe effettivamente sentirsi autorizzato a portarci via.

Ne parlo perché Papa Francesco ogni volta mi stupisce e perché conosco molto bene l'argomento, vivendolo ogni giorno sulla mia pelle da circa 10 anni. So cosa vuol dire lavoro precario, con compensi ridicoli (non esistono "stipendi"), futuro incerto se non inesistente, e nessuno che punta su di te (in compenso puntano sui soliti raccomandati o su chi non ha il ciclo. Storie vecchie millenni, insomma).
So cosa vuol dire inseguire un sogno e fare dei sacrifici per rincorrerlo, anche se arriva il momento in cui ti chiedi se ne vale la pena (o peggio, se sei tu a valerne la pena).

Io raccomandata non lo sono mai stata, questo sia chiaro. E se oggi ho imparato a navigare piuttosto bene nel mare agitato del precariato, a testa alta -anche se con un punto di domanda grosso come una casa sul domani -, se ho imparato a non piangermi addosso e a rimboccarmi le maniche non arrendendomi mai e tenendo in piedi tre, quattro lavori in un colpo che insieme rendono economicamente come mezzo, è perché devo ringraziare chi, finora, in me non ha mai smesso di credere.

Non sono in molti, potrei citarli uno ad uno, ma so che a loro non fa piacere la pubblicità.

Alcuni mi conoscono da sempre: due in particolare mi hanno fatto nascere e mi hanno cresciuto, insegnandomi i valori del non tutto dovuto, dell'onestà - che alla fine dovrebbe pagare sempre -, e dell'umiltà.

Un altro è stato una sorpresa, e a lui va tutt'ora la mia stima. Questo signore, colto e gentile, che ancora oggi imbroglia l'anagrafe, mi seguiva tutte le mattine in tv: gli piaceva la mia trasmissione. Non so se per caso o per destino, ma è stato lui a illuminarmi, a credere nel mio progetto, ad aiutarmi a svilupparlo. E a dirmi, sempre dandomi del garbato "Lei", quelle parole magiche: "voi giovani non dovete permettere a nessuno di togliervi la speranza". Una profetica raccomandazione, tre anni prima di Papa Francesco.

Chi ha creduto in me - o così spero: in ogni caso l'effetto benefico c'è comunque - è anche un Collega (con la maiuscola, perché è uno che il mestiere lo conosce bene): mi ha sempre incoraggiata, mi ha sempre detto "vai avanti". E così ho fatto: comunque vada.

Ecco: è sapere che c'è chi crede in noi, sapere che valiamo qualcosa, che non siamo spreco di spazio, ma nel nostro piccolo siamo speciali, originali: è tutto questo il seme della Speranza. Ed è questo il motore del nostro futuro, un futuro che ci stiamo creando con le nostre mani, anche se non è facile, anche se ce lo guadagniamo a "lacrime e sangue", ma che è (sarà) tutto meravigliosamente nostro, nonostante il brutto mondo che ci piove addosso. Io ci credo e spero proprio di non dover rivedere da qui a pochi giorni il mio ottimistico punto di vista.
Perché nonostante tutto, sono ancora convinta che se questi sono i presupposti, prima o poi, il buono arriverà.

sabato 23 marzo 2013

Che la farsa (non) continui

Sulla vicenda dei nostri Marò, ritornati in India, si è detto molto (e si potrebbe dire o scrivere molto, molto altro ancora).
Colpe, accuse, battibecchi, ricatti. Ma adesso, a parlare è il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, che definisce il tutto (in particolare l'ultimo, vergognoso atto) una "farsa". Un attacco estremamente duro. Ma che, credo, riassume ciò che pensiamo tutti noi. E lo ha fatto dimostrando coraggio, onore e dignità.
Merci piuttosto rare, in Italia.

Pubblico qui di seguito il comunicato diramato dal Capo di Stato Maggiore, riportato dalle maggiori agenzie di stampa e dai quotidiani.

"Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, a nome ed insieme a tutto il personale delle Forze Armate, si stringe affettuosamente ai nostri Fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ammirandone l’esempio, il coraggio, la disciplina e il senso dello Stato.
È consapevole e condivide la loro sofferenza e soprattutto quella delle loro famiglie che da noi non saranno mai abbandonate, oggi così come dopo la conclusione di questa vicenda.
Auspica che questa vicenda che sta sempre più assumendo i toni di una farsa si concluda quanto prima e che i nostri Fucilieri, funzionari dello Stato in servizio di stato, alla stessa stregua di tutti i militari che operano all’estero con Onore per la pace e stabilità internazionali, siano al più presto riconsegnati alla giurisdizione italiana".
Nota: il comunicato è stato partecipato anche al Presidente del COCER interforze, Generale Cotticelli.

Il comunicato stampa è disponibile sul portale del Ministero della Difesa.

giovedì 21 marzo 2013

Shopping di primavera (alla panna e fragole)

Sì, è arrivata la primavera! Poco importa se sabato e domenica stranamente pioverà (a pensarci bene è questa la conferma: ogni anno fa un tempo schifido ogni weekend mentre nel resto della settimana, quando siamo bunkerati in ufficio, splende il sole).
Quando si apre la bella stagione, noi ragazze di tutte le età usiamo sfogliare bramose le riviste femminili, con uno sguardo particolarmente famelico. Quali colori? Quali borse? Che forme di borsa? Righe (sì, tante righe) tacco, non tacco ballerine e via di seguito. Neanche il tempo rimettere nell'armadio il cappotto che pantaloni sempre più corti lasceranno presto spazio a shorts e bikini.

Un appello alla coscienza degli editori: la pubblicità sulle vostre riviste di modelle 16enne sottili come giunchi dai visini da bambole ha delle ripercussioni psicologiche feroci, in noi ragazze normali.

Prima di tutto, qualcuno mi deve spiegare com'è che a quelle i capelli stanno così. Eh sì, perché noi ragazze fin troppo normali abbiamo pure l'attaccatura dei capelli sbagliata: guardate me, che non mi posso farmi la frangia perché sennò mi si apre in due come le acque con Mosè (scusate ma la riflessione è d'obbligo, visto che mentre scrivo sono dal parrucchiere).

E poi, l'argomento forte, che tutti aspettavate, un po' scontato ma sempre in voga. Perché è con lei che dobbiamo fare i conti, anno dopo anno. E non ci bastano i ragionamenti "ma sei bella così", "tutte ce l'hanno, anche le modelle", o "è la personalità che conta".
Lei, ancora lei, sempre lei. Che non ti abbandona mai: la ciccia. Altrimenti conosciuta come adipe. Cellulite, insomma, porca miseria.
Ma, direte voi, "quest'anno la frego, ho giocato d'anticipo: sono andata in palestra".
È allora che si commette l'errore. Perché, sfrontate e sicure di noi, decidiamo che è il momento di auto gratificarsi concedendoci una giornata di shopping e prendendoci una rivincita, indossando finalmente qualcosa che metta in risalto il nostro nuovo corpo.
E allora succede che entri da Zara, provi un paio di jeans stretti. E qui il primo colpo: una 44 non ti va bene, e devi passare a una 46. Peccato che pensavi di essere ritornata alla tua 42 grazie alle sessioni di palestra alla Bridget Jones.

Vabbè. Arriva il momento del camerino. Entri, ti togli i pantaloni e arriva lo shock. Perché non ti ricordavi di avere quella pelle color vongola lagunare, per non parlare del derrière: pensavi di averlo reso un pochino più sodo (come se tutte le ore di palestra non fossero servite a NIENTE). Scendendo con lo sguardo la situazione peggiora drasticamente. Le gambe sembrano una strada di campagna boliviana piena di buche (non mi dilungo in particolari raccapriccianti, ma le donne sanno a cosa mi riferisco).
Ti convinci che è colpa del camerino, che sono le luci.
Esci riluttante e anche un po' schifata, e davanti ti ritrovi un mega poster di quella modella 16enne baciata dal sole con capelli perfetti e gambe dritte e toniche.
Meglio consolarsi in pasticceria, a questo punto. Dicono che panna e fragole siano (quasi) di stagione.

mercoledì 13 marzo 2013

Il Papa che verrà

Il sentimento è quello dell'attesa, come la notte di Natale. Si leggono molte cose in questi giorni, tutta la stampa nazionale e internazionale punta gli occhi (e i riflettori) sul caput mundi, Roma, per raccontare quello che succede ormai da secoli (raccontato molto bene su La Stampa negli approfondimenti della rubrica Vatican Insider, che consiglio). L'elezione del Pontefice, discendente di Pietro, avviene attraverso lo Spirito Santo che si manifesta attraverso il libero arbitrio dei cardinali elettori. No, non è un ossimoro, quello tra Spirito Santo/libero arbitrio: da leggere l'articolo sul Time di questa settimana, in proposito (http://ideas.time.com/2013/03/11/does-the-holy-spirit-choose-the-pope/).
La domanda a questo punto è: perché, dopo scandali di pedofilia, corvi, Vatileaks, congiuri e scongiuri, soldi, banche non banche ecc, insomma, tutto quello che ha travolto la Chiesa, il rito del conclave ci affascina e ci coinvolge tanto, provocando un'emozione crescente tale da toccare il cuore? Perché tutti - ma proprio tutti - volgono la loro attenzione all'elezione del nuovo Papa con così tanto senso di attesa, portando centinaia di persone a riunirsi sotto il comignolo della Cappella Sistina, in Piazza San Pietro?

Per due motivi. Primo: il rito, la tradizione, le radici e la storia che impregnano di mistero il conclave (perché non vediamo cosa avviene dietro quei portoni) ci attraggono. E questo grazie alla sacralità non svelata, ossia quello che non si può vedere, in un'era invece in cui abbiamo accesso a tutto, in cui si vìola tutto, con un tablet si sa tutto di tutti in ogni momento, e con fb e Twitter la privacy è un optional (letteralmente). Ecco perché ci affascina tanto, anzi, forse più di prima.
Oggi, poi, la cosa ci emoziona particolarmente. E veniamo al motivo n.2: è quando sei nel buio più assoluto, che hai più bisogno di luce. È durante le crisi, che si guarda al nuovo. È quando siamo senza guida, che sentiamo il bisogno di una personalità carismatica che emerga, che ci faccia sentire di nuovo forti. Abbiamo tutti bisogno di guide, e il mio augurio è che il Papa che verrà riesca ad esserlo, diventando simbolo di Rinnovamento e Coraggio, nella storia della Chiesa e della Cristianità. I tempi in cui viviamo lo richiedono. E noi, forse non tanto inconsapevolmente, in fondo ne abbiamo un gran bisogno.

lunedì 11 marzo 2013

Sfig Break

Ho scoperto di essere vecchia quando ho visto il trailer del film Spring Breakers.
È la storia di 4 provocanti studentesse che vivono il loro Spring break di sesso, droga alcool e rock&roll, qualche arresto per rapina e da quello che ho letto - il film non l'ho ancora visto- anche un omicidio. Insomma il pacchetto completo, pronto da emulare, magari. Perché queste 4 ragazzine tipo ieri si aggiravano innocenti su Disney Channel, a interpretare teenagers innocenti, in innocenti serie tv e adesso zoccoleggiano al cinema. E poi ho pensato "spero un giorno di non avere figlie femmine... Se mi diventano così?"
Ecco.
È stato in quel preciso istante, quando ho pensato queste cose, che mi sono bloccata: oddìo non è che di colpo.... sono diventata vecchia?! Insomma un commento bacchettone come questo lo fa mia madre, mica io. Poi guardo la mia carta d'identità, rivedo la faccia da scema con la frangiona alla 'ombrellone di paglia in spiaggia' e mi tranquillizzo. Professione: studentessa. Stato civile: nubile. Ed è allora che torno alla realtà: sarebbe scaduta qualche anno fa, ma per effetto della proroga dura 5 anni di più: mi scade l'anno prossimo. Quella faccia ha quasi 10 anni. Come non detto, sono cresciuta, allora. Però, tutto sommato, anche se sono sposata e ho 31 anni, uno Spring Break lo vivrei volentieri, pensandoci bene. Però togliendo droga, rapine e arresti magari. Che somigli più a uno Spring Break, anzi, uno Sfig Break a questo punto, da pensionati?

venerdì 8 marzo 2013

8 Marzo per tre (e mezzo)

Oggi, in una veloce pausa caffè al bar, io e la mia super collega abbiamo incontrato Franca. Io non la conoscevo, anche se il suo ufficio è così vicino al nostro che rischiamo di scontrarsi uscendo dalla porta. In questo giorno così speciale che unisce le donne di tutto il mondo, di tutte le età e ceto sociale, a lei va un augurio particolare. Aspetta una bambina (sì, secondo me è femmina) è al terzo mese, e l'azienda per la quale lavora è in liquidazione.
Se questo è un futuro incerto per tutti coloro che sono piombati in situazioni simili, sempre più frequenti negli ultimi tempi, per una donna che tra sei mesi diventerà mamma il punto di domanda su come si farà per tirare avanti (a meno che una non abbia sposato un magnate) è grosso come una casa. Perché se sei giovane e non hai figli (quindi se non sei donna e non hai il ciclo) è molto più facile lavorare, anche se sono tempi duri.
"Già lo stipendio è dimezzato, l'inps non è veloce come un fulmine nei pagamenti - mi spiega - ...vediamo come faremo".
A sorprendermi però è la sua forza, quella fiammella che noi tutte abbiamo dentro e che va al di là di tutto. Quella che, quando siamo a terra, ci fa rialzare e ricominciare. E scusate, maschietti, se lo rimarco, ma è questa la marcia in più che ci contraddistingue, almeno per la maggior parte di noi.
Usciamo dal bar insieme, tutte e tre (o meglio, tre e mezzo...), e prendiamo l'ascensore. Due chiacchiere, le dico che sono sposata da poco ma per il momento zero voglia di bimbi: con tutto il lavoro che - spero - mi aspetta, non è proprio il momento, questo.
E lei, andando incontro al suo futuro e a quello della una nuova vita che aspetta, si volta e mi dice: "non aspettare, sai. Perché se stai a guardare il lavoro, non lo fai più. Comunque vada, è una cosa bellissima!"

Ecco, questo dovrebbe essere l'8 marzo e questo è l'augurio che rivolgo: guardare al futuro sempre, con Speranza e Coraggio. Per tutte noi.

mercoledì 6 marzo 2013

Se ci sei, batti un colpo

Ok, Primavera. Lo so che stai arrivando, ormai sarà questione di poco. Un segno è che non c'è più buio alle 4 del pomeriggio. Però, ti prego, batti un colpo. Son due giorni che piove e fa freddo (ok, freddino...). Ci avevi proprio illuso con quella bella giornatina soleggiata. Quel giorno avrei voluto persino archiviare il cappotto. E invece per fortuna non l'ho fatto. In più, dicono, tornerà pure la neve, come se il grigiore e la pioggia non fossero abbastanza, almeno al Nordovest: forse sto giro noi a Nordest la evitiamo. Passi febbraio con la neve, ma ti ricordo che siamo in MARZO e che è da ottobre che aspetto il tuo arrivo. Quindi, datti una mossa. Già ci dobbiamo sorbire i rigidi inverni mentali di chi ci comanda, quindi fa un po' te... cosa vogliamo fare?

Intanto, in attesa di una celere risposta, che sicuramente arriverà con un post su twitter, assaporiamoci questo tributo alla Terra e alle sue stagioni. Piovose o meno.
(e bravo a chi ha montato questo bel video su San YouTube)



martedì 5 marzo 2013

Io sto con gli ippopotami

Fare il tiranno non può (grazie al cielo). I numeri per fare non li ha, i numeri per non far fare anche. Di chi parlo? Sì, dai, è facile, il Grillo Mascherato. Sono piuttosto riluttante a parlare di politica&politici, ma stavolta (e solo stavolta) l'eccezione la faccio, perché Ballarò mi ha ispirato (anche se a tratti rimpiango di non guardare ancora "Io sto con gli ippopotami" su rete4).
Vi dirò, non mi dispiacerebbe Grillo, come personaggio: è istrionico e sicuramente porta un po' di aria nuova, o se non altro diversa, negli spalti degli ingessati politici che dai tempi della dc ad oggi ci ritroviamo, sempre tutti uguali. Se non altro il Grillo Mascherato potrebbe avere un effetto collaterale molto desiderato sull'immobilismo politico/partitico che in Italia rasenta l'incredibile, grazie alla sua incapacità particolarmente allucinante di non saper rinnovarsi - v. Pd con Renzi: e ce l'aveva lì, la possibilità.

Stiamo a vedere cosa combina Grillo e il suo M5S: l'hanno scelto in tanti, questo glielo dobbiamo. Sarebbe troppo bello riuscisse a cambiare davvero qualcosa, ma credo purtroppo non succederà per le ragioni che ho elencato sopra.
E anche perché, nonostante tutta la volontà di questo mondo, Grillo Mascherato e i suoi hanno fatto i conti senza l'oste: la nostra vecchia, cara, paradossale Burocrazia, che non si sa come, ma ha il potere di ingessare chi ha buone intenzioni, chi vorrebbe cambiarlo questo Paese, chi ha voglia di fare; di questa o di quella parte politica. E non ci puoi far niente, è così, non ce la fai. La burocrazia è un muro di gomma, ci si continua a rimbalzare contro. E addio ai sogni di gloria. Soprattutto i nostri.

Perché... cuore di cioccolato?

Una volta, in un'intervista al Premio 12 Apostoli, premio dell'omonimo Ristorante che a Verona che unisce letteratura, giornalismo e buona cucina, chiesi ai premiati: "se voi foste un dolce, che dolce sareste?"

Dopo averli messi un tantino in difficoltà - probabilmente si aspettavano domande più intelligenti -, mi sono chiesta: e se lo chiedessero a me, che dolce sarei?
Rispondo subito (come avete capito, me la faccio e me la dico):

TORTINO CON CUORE FONDENTE AL CIOCCOLATO SU LETTO DI VANIGLIA DEL MADAGASCAR

Madagache...??? Sì sì, Madagascar. Eddai, un po' di esotico ci sta anche.
Primo: l'ho mangiato una volta, e giuro che era buonissimo.
Secondo: in fondo, la spiegazione del blog (e la sua ragion d'essere) sta tutta qui.

 Anche un insospettabile comunissimo tortino, può nascondere un cuore di sorprese che non ti aspetti, e che solo nel momento in cui scegli lui (sì, quel tortino di cioccolato come tanti e magari anche un po' banale), ti accorgi che invece è proprio speciale.

Eccoci qua

Chiariamolo subito. Questo NON è un blog di cucina. Anche se a dirla tutta l'idea del blog e del cioccolato mi è venuta dopo pranzo. Avevo una voglia pazzesca di Sacher. Alla faccia della dieta (vado abbastanza bene), della palestra (ho iniziato seriamente) e della cioccolata su cui mi sono abbuffata ieri sera (...ops...).