martedì 12 agosto 2014

Addio, mio Capitano

Ho sentito più o meno la stessa sensazione, quando morì Lady D: una specie di pallina ghiacciata che piomba da non so dove tra stomaco e cuore. Sarà che sono diventata pseudo adulta, e capisco forse un po' di più la fragile bellezza della vita.
Io, anno 1981, come tanti miei coetanei, sono cresciuta con Robin Williams, trovato morto oggi a 63 anni nella sua casa a Tiburon, in California: anche se Mork&Mindy sono leggenda, e io proprio non me li ricordo, da Mrs Doubtfire in avanti invece è un'escalation. Facevo fatica a capire La leggenda del Re pescatore: vederlo a dieci anni, vi assicuro che è un film di un certo spessore. Ma mi colpì allora come nei film successivi la sua empatia, la capacità di essere un attore così vicino, anche se dall'altra parte dello schermo: un cresciuto Peter Pan in Hook, capitan Uncino, esilarante in Piume di struzzo, avventuroso in Jumanji, e via così, fino a quel favoloso Attimo fuggente. Troppo struggente Al di là dei sogni: non riesco a reggerlo, soprattutto oggi è troppo, e finisco sempre in lacrime, stile cascate del Niagara.

Su facebook sono travolta da un'ondata di commozione: foto pubblicate, video. Blob che ripercorrono la sua carriera, le scene cult.
E poi ci sono i soliti imbecilli, che minimizzano dicendo "beh, e io che non arrivo a fine mese?", oppure se ne escono con frasi senza senso sulla depressione, perché fortunati loro non sanno forse cos'è. È sempre così: qualcuno ci deve sempre insegnare cosa sentire, cosa provare e mettersi in mezzo a rovinare tutto. 

Ma anche le uscite peggiori ci danno gli spunti per riflettere: cosa rende così vicini a noi divi del cinema, personaggi pubblici, cantanti famosi? Perché uno deve "stare male", dispiacersi come fosse successo a un conoscente (possiamo dirlo?), quando muore Lady D o Michael Jackson? Fanno parte di quella schiera di "divi", gente che non vedremo mai, gente che non sa nemmeno che esistiamo, e il fatto che esistiamo a loro non cambia una virgola. 
Perché è la magia di quello che fanno in vita e che ci hanno donato, signori miei. Dell'EMOZIONE che ci fanno - anche oggi - provare, dei sorrisi che ci regalano, della passione che ci infondono. Di quello che ci insegnano. Un libro può cambiare le nostre vite, perché non può farlo un film?

C'è un filo diretto che ci collega a loro, e oggi a lui, Robin Williams, il prof che ho sempre sognato. A senso unico? Forse, ma forse anche no: sono i nostri mille sensi unici che rendono a queste persone il dono a doppia faccia della celebrità, che da una parte ti fa sentire un dio dall'altra ti schiaccia. Siamo noi a renderli celebri, divi, famosi. Belli, buoni, cattivi, dittatori, eroi o demoni.

Miseri noi, che non capiamo la bellezza della vita, fino in fondo, fino all'ultimo. Paradossalmente, perché pare che di suicidio si tratti, lo diceva proprio Robin Williams, in una delle sue interpretazioni più toccanti, l'Attimo Fuggente: il professor Keating, il "mio capitano, ho mio capitano", che forse ha cambiato la vita - magari solo un briciolo - a tutti noi. A me sicuramente: "carpe diem, cogliete l'attimo. Perché? Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. È strano a dirsi, ma ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo, e morirà". 
Oggi, e come accade ad ogni lutto, ad ogni addio a qualcuno a cui vogliamo bene, nonostante le distanze, nonostante le differenze, Robin ci ripete la lezione, ucciso dal suo male oscuro che non gli ha dato vie d'uscita.

Vivete la vostra vita. 

Se ascoltiamo con attenzione, chiudendo gli occhi, restando in silenzio, riusciremo a sentirlo sussurrare alle nostre orecchie, con quel suo sguardo visionario e geniale: "Carpe diem...cogliete l'attimo, rendete straordinaria la vostra vita". 
Qualunque cosa accada.