domenica 29 novembre 2015

Che il ciel ci aiuti

Rozzano, hinterland milanese. Il preside della scuola "Garofani", dopo aver già tolto di mezzo i crocifissi, toglie anche presepe e concerto natalizio, tramutando la festosa e preziosa occasione di incontro in concerto d'inverno. Orde indignate di mamme e papà (e di politici poi), si scagliano contro la decisione del preside. Lui, a sua difesa, sventola la giustificazione: è per gli attentati terroristici di Parigi dello scorso 13 novembre. E, poi, un evergreen del nostro tempo: l'offesa alla sensibilità delle religioni altrui. Perché alla laicità ci si può e si ci si deve sempre appellare, no? Togliendo crocifissi e pericolosi bambinelli, tacendo il fuorviante "Tu scendi dalle stelle", anche i bambini di altre confessioni religiose potranno finalmente dormire sonni tranquilli: la laicità rimboccherà loro la coperta.
Eppure, sorge un (lecito) dubbio: togliere un crocefisso, non andare a una mostra di Chagall, estirpare l'abete natalizio e nascondere Gesù (sempre che il suo nome di possa ancora dire), ha che fare con la laicità?
Laicità significa anti-dogmatismo, rifiuto di qualsiasi imposizione religiosa, ma soprattutto significa ferma negazione a qualsiasi forma di integralismo e fanatismo. Pretendere, battendo i pugni sul tavolo, che laicità significhi togliere simboli, sì religiosi, ma in Italia e in Europa anche storici e culturali, è solo atto laico? Come potremmo convivere con una laicità che estingue tutti i simboli della storia? Bisognerebbe intanto proibire a grandi e piccini di indossare collanine con croci e angioletti. Poi, dovremmo nascondere o abbattere campanili e cupole. E abissare una volta per tutte Venezia, amalgama millenario di architetture religiose e culture mediterranee, orientali e mediorientali, tutte meravigliosamente assieme. Ed espressioni come "Che Dio ci aiuti", dovrebbero essere espressamente cancellate dal vocabolario. 
Ma, sullo stesso piano, si dovrebbe anche vietare la costruzione di moschee, togliere alle giovani musulmane l'hijab, non fornire carni alternative al maiale nelle mense, cancellare qualsiasi luogo di culto di qualsiasi altra religione, sinagoghe comprese. Già che ci siamo, basta anche con i corsi di Yoga. 
La laicità dovrebbe prima di tutto fare rima con tolleranza, rispetto e democrazia. E a volere tolleranza, rispetto e democrazia bisogna essere in due: un mondo forzatamente neutro, o che dietro la maschera della sensibilità offesa cancella le proprie radici, fa leva sulla paura, si fa sopraffare dal timore e accetta la sottomissione al terrore è più pericoloso di un presepe. Adorando quest'idea assoluta di laicità il rischio è perdersi, e perdere di vista il buon senso. Che il cielo ci aiuti, qualunque sia il Dio (se credete ci sia), che lo abita.

martedì 24 novembre 2015

La non-morte di Valeria Solesin



Cosa ci può insegnare la morte? Tante cose. Penso che tra le più importanti ci siano il rispetto e l'amore per la vita, in ogni suo respiro. Perché la vita non è per sempre, un giorno finirà e di noi resteranno ossa e cenere, se siamo stati bravi forse fotografie e ricordi ai nipoti. È un po' triste e scabrosetto pensarci, lo ammetto, ma è così.
Lo impariamo ogni volta che muore qualche persona cara, che lascia intorno a noi un posto vuoto che nessuno può occupare.
La morte al Bataclan il 13 novembre 2015 di Valeria Solesin, veneziana, 28 anni, nata a Zevio nell'agosto del 1987 (l'ospedale dove sono nata anch'io in provincia di Verona), è però qualcosa di diverso. È una non-morte.

Istituiranno alla sua memoria concorsi, in cui parteciperanno studenti e studentesse di ogni credo e di ogni dove; saranno intitolate a lei vie e piazze, dove passeggeranno uomini, donne, anziani e bambini di tutte le nazionalità. Ci saranno forse anche aule studio, aule magnae, borse di studio che permetteranno a questi giovani di studiare e magari inventare, diventare qualcuno che farà qualcosa di buono.
La morte di Valeria per questo è una non-morte: perché ha lasciato una traccia.

In quanti possono dire di averlo fatto, nella loro vita?
È proprio come vivremo la nostra vita oggi, domani e il giorno dopo ancora che farà la differenza.
Quello che penseremo, che diremo, che faremo, che insegneremo.
Valeria non voleva morire, ci mancherebbe; avrebbe voluto continuare a studiare, trovarsi un buon lavoro, forse sposarsi, avere bambini, un cane o un gatto, una casa, magari un giardino. E poi nipoti, fino alla vecchiaia, e allora si poi morire.
Invece le cose sono andate diversamente. Valeria è stata uccisa dalla follia, dall'odio, dall'estremismo dietro cui non si nasconde, credo, solamente un dio. Ma il paradosso sta: continuerà a vivere comunque. E non è retorica, per una volta, è un fatto sotto gli occhi di tutti.

Ecco, Valeria, vedi che non sei morta davvero? Vedi che continuerai a ricordarci quanto importante è studiare, laurearsi, essere qualcuno in qualche posto nel mondo ed essere figli di quell'Europa e quel mondo in cui credevi (e che forse ha ancora qualche chance di esserlo), ricordare che la violenza e l'odio non portano a chinare la testa, ma ad alzarla sempre di più?
I tuoi genitori sono un esempio di dignità e intelligenza sfolgorante, e con la loro lezione sono riusciti a insegnarcelo.

Tu, invece, ce lo ricorderai.