domenica 23 giugno 2013

Il Segreto di Vittoria

Non so voi, ma dal mio parrucchiere guardo più tv che a casa. Ci sono piccoli schermi ovunque, sintonizzati su un canale non meglio identificato, che il più delle volte mostra sfilate d'alta moda no-stop, eventi hollywoodiani, roba di classe insomma, dove normalmente l'unico uomo che si vede in giro è Karl Lagerfeld.
E poi arrivano loro: gli "angeli" di Victoria, quelle di Victoria's Secret insomma. Stavolta il set è una spiaggia, tipo Big Sur, con classico soletto del tardo pomeriggio e loro che giocano e scherzano spensierate tra le onde.
Ragazze così davvero (e qui lo dico senza alcuna invidia, se mai stupore) non puoi far altro che constatare una cosa: sono bellissime. Bellissime. 
Iniziamo dai capelli. Visto che sono dal parru, è logico iniziare da lì: oltre ad averli lunghi e lucenti e di una tinta che non ti riuscirà mai di replicare, Madre Natura ha dotato gli Angeli di Victoria pure di un'attaccatura sublime. Che c'entra l'attaccatura dei capelli, direte voi. Eh, c'entra, c'entra. Se non mi passo la piastra  la mia frangia si apre in due come il mar Rosso con Mosè. La loro no. Sta lì, perfetta. Arriva un po' di vento? La loro frangia fluttua, e poi si risistema. 
Il viso: se le avesse viste Leonardo Da Vinci la Gioconda avrebbe avuto altre proporzioni. Non riesci a staccare gli occhi di dosso da quel viso da bambola, gli occhi da cerbiatta il sorriso da far invidia a Barbara D'Urso nella pubblicità della Vitaldent sugli autobus. (E ti chiedi, perchè loro si e io no??? Qui l'invidia c'è...)
Il corpo. Be', sfilano, sono modelle. E questo dovrebbe bastare a far capire che sono di una specie superiore alla tua. Spero di non incontrare mai una: mi sentirei un carciofo (e pure stagionato). Eppure, nonostante l'attaccatura dei capelli, nonostante il visino perfetto e i denti bianchissimi, è lì che la tua attenzione si concentra. Sulle coscette magre, sul culetto sodo e zero pancia. Ti dici, almeno saranno piatte! ....Tsè....

Una signora sulla settantina mi si siede vicino: deve risciacquarsi la tinta, e se qualcuno non viene a lavarmi la mia, di testa, la crema prima o poi mi si solidificherà ...
"Certo che ci fan vedere queste così perfette, ti viene la depressione", mi lancio io in cerca di solidarietà femminile.
"Mah, non tanto."
"Cioè?" le chiedo curiosa dimenticandomi del cemento che ho sui capelli.
"Loro saranno sì perfette, ti verrà a che la depressione, ma poi quando andiamo al mare quante ne vedi come loro? Nessuna. Nessuna di noi, nella vita vera, è perfetta. Tutte abbiamo i nostri punti critici e i nostri difetti, chi in un posto chi in un altro. Non ce n'è neanche una così, al mare, si fidi signorina...!"
Ci penso su e cerco di ricordare la mia ultima vicina di ombrellone. E concordo pienamente, sentendomi già più rilassata, mentre il mio livello di autostima comincia pian piano a ritornare a livelli normali.
 "Be', sa che in effetti ha ragione signora..."
"Vittoria. Mi chiami pure Vittoria."

venerdì 21 giugno 2013

Effetti collaterali


"L'avete sentita?!" 
"No, che cosa?" 
"C'è una scossa!"
Un secondo, forse meno per rendermi conto che la tenda stava oscillando come il bacino di una ballerina hawaiiana e così pure la mia incasinatissima scrivania. Ops, anch'io. 
Uly, la mia estroversa quanto sensibile collega, ha iniziato ad agitarsi: lei che abita in montagna il terremoto l'aveva sentito ancora martedì - non oso pensare a chi stava guardando in tv l'esorcista...-  e non aveva dormito la notte (e poi ditemi che le due scosse non sono collegate, dai, ditemelo!). 

La paura, l'ansia, la strizza insomma, ha contagiato presto anche noi altre tre che cercavamo inutilmente di rassicurarla "È finita, è finita... passata... vedi?", anche se mentre lo dicevamo non ne eravamo del tutto convinte: si trattava più di un'opera di auto convincimento, un karma per non farci venire un infarto al lavoro. Incredibile come chi ti sta intorno riesca a fare la differenza: agitare o calmare. Chissà perché anche terminata la scossa mi sentivo come se avessi bevuto troppi Spritz (nel mio caso ne bastano due): ubriaca. 

Inutile, al terremoto non ci si abitua mai. 
E così un tranquillo venerdì mattina (quasi noioso, ma evidentemente era la quiete prima della tempesta), è diventato schizofrenico. 
Meglio essere allegramente imbranate come me, e non accorgersene: l'inconsapevolezza è molto meglio (altre volte ci puoi rimettere la pelle, ma per fortuna non è il nostro caso...). Sta di fatto che come in un film mi sono ricordata di tutti i terremoti vissuti nelle mia vita, ultimo quello dell'anno scorso (e per la cronaca, ero nel mantovano, quella notte).

Posto che la scossa non era come quella dell'anno scorso, e nemmeno come quelle che vediamo registrate dalle telecamere a circuito chiuso negli uffici in Giappone, la paura c'è stata.
Un'altra volta, come in un remake.
 Niente danni, una scossetta da niente, in fondo, qui nel veronese. Ma è quello che percepiamo che fa la differenza, e che l'idea che quello che è accaduto possa ripetersi. Ti scatta qualcosa in testa. Non è un'anomalia, è la natura umana, il nostro istinto, che ci mette in allerta in caso di pericolo, basandosi sulle esperienze vissute.
E quando balla la terra sotto i tuoi piedi c'è poco da fare: l'istinto, quello primordiale oltre al personale vissuto, si scatena, perché il pericolo è reale. 

Per rendersene conto basta andare nel mantovano o in Emilia: interi paesi che, non poco lontani da noi, lo sanno bene e ne portano ancora le cicatrici.


mercoledì 19 giugno 2013

Notte prima degli esami

A guardarli bene fanno una certa tenerezza.
Qualcuno ha pure indossato giacca e cravatta per l’occasione. Altri invece se ne fregano e vanno con i soliti pantaloni strappati, graffiati, slavati, insomma, quelli che la mamma si chiede “ma in quale cassonetto li avrà trovati?”.
Comunque sia, lasciatemelo dire, sono stupendi: con gli occhi e le occhiaie che, nonostante la paura, brillano di speranza. Non solo di passare l’esame, ma di fare qualcosa di più.
È la gioventù signori miei, e ci piace, soprattutto man mano che passano gli anni (i nostri).

Oggi per loro è un giorno speciale, o se non altro, non è un giorno come gli altri: inizia l’esame di maturità.
Devo dire la verità: vederli mi ha emozionato, e non solo perché dalla mia, di matura, è passato un secolo. Piccole donne e piccoli uomini che stanno diventando adulti tra mille difficoltà che il mondo d’oggi ci sta generosamente regalando, erano intervistati dalle tv nel consueto servizio di inizio esami: con la loro voglia di vivere e di esserci, in un periodo storico che più che essere penalizzante fa pena, oggi i riflettori sono tutti per loro (sì, ok, c’è anche Obama al G8).
La verità è che questo esame per loro non è altro che una prova generale per gli anni che verranno: dall’alto dei miei quasi 32 (sic!) ormai posso dirlo, scriverlo e firmalo pure, se volete. Il punto è che questi donne e uomini del domani avranno un compitino per nulla facile: dovranno essere molto forti, e farsi delle belle ossa, perché spetta a loro rimettere in sesto il Paese, quando i vecchi baroni (in tutti i settori) lasceranno la poltrona (forse a un parente che ne continuerà la stirpe). 
Spetta a loro essere coraggiosi e fare scelte più sensate, anche sul percorso di studio che sceglieranno: auguro a tutti di guardare più alla sostanza delle cose che alla forma. Auguro loro che nella vita venga prima la famiglia, l’amore, i figli, gli affetti, e poi un buon lavoro, che permetta di realizzare i sogni e le ambizioni, oltre che a portare a casa il pane.
Auguro loro di essere innovativi, ma di ascoltare da chi ne sa di più: non c'è nessuno da rottamare, semmai, da cui imparare.
Auguro che la spensieratezza dell’estate della maturità (ce ne saranno poche altre così, fidatevi) duri un po’ più a lungo. Auguro loro di diventare degli eroi del loro tempo, e magari anche del nostro: ne abbiamo tutti bisogno.
Spero che i loro occhi e anche le loro occhiaie continueranno a dirci che loro ci sono, e sono qui per fare qualcosa di buono: è la speranza che riponiamo.



venerdì 7 giugno 2013

Una buona notizia

Tra le belle notizie che potevano arrivare, questa è certamente la migliore: Domenico Quirico, giornalista de La Stampa, inviato Siria e di cui non si avevano più notizie dal 9 aprile scorso, è vivo. Una breve telefonata alla moglie, e tanto è bastato a riaccendere la speranza. Perché, mi dicevo nei giorni scorsi, quando tutto taceva, uno non può sparire, essere inghiottito nel nulla così. Anche se era realistico potesse essere accaduto il peggio, mi piaceva pensare così non fosse.
Mi piace anche pensare che a smuovere le cose sia stato quel messaggio registrato a La Stampa, in cui le due figlie di Quirico, Eleonora e Metella parlano del loro papà in un video-appello diffuso dalle tv  in tutto il mondo, comprese Al Jazeera, tv arabe e Siriane. Un "papà ti aspettiamo" che mi ha commosso. Non voglio nemmeno pensare com'è vivere nell'angoscia, sapendo che tuo padre potrebbe non tornare, nemmeno sapendo se è vivo. 
Oggi la sua foto campeggia lì, nella prima pagina de La Stampa: è seduto sul marciapiede, un uomo lunghissimo e magro, computer sulle ginocchia. È l'immagine simbolo del giornalista, che mi ricorda quella di tempo fa scattata al grande Indro Montanelli.
Il mestiere è tutto lì: il dovere di raccontare è viscerale a tal punto da sentirlo come una missione, soprattutto ai livelli di Quirico e di tanti altri che hanno scelto la sua strada. Lo aspettiamo, come abbiamo fatto negli scorsi 58 giorni, ansiosi di leggere il racconto della sua avventura.