lunedì 25 marzo 2013

La Speranza che c'è in noi (prima o poi)

Da una parte i 200mila giovani laureati senza lavoro e a caccia di un impiego, i 3 milioni di disoccupati di tutte le età, e i 2,8 milioni di precari (fonte: La Stampa). Il tutto, condito da una realtà corrotta (per non parlare della politica), spesso annaffiata di retorica e concimata di interessi che spesso e volentieri non sono proprio quelli per il bene della collettività.

Dall'altra parte un uomo, un Papa, che parla a una piazza gremita di quegli stessi giovani e dice: "non fatevi rubare la Speranza".
Lo scrivo con la S maiuscola, perché la Speranza è qualcosa di speciale, di importante, di prezioso. E che nessuno dovrebbe effettivamente sentirsi autorizzato a portarci via.

Ne parlo perché Papa Francesco ogni volta mi stupisce e perché conosco molto bene l'argomento, vivendolo ogni giorno sulla mia pelle da circa 10 anni. So cosa vuol dire lavoro precario, con compensi ridicoli (non esistono "stipendi"), futuro incerto se non inesistente, e nessuno che punta su di te (in compenso puntano sui soliti raccomandati o su chi non ha il ciclo. Storie vecchie millenni, insomma).
So cosa vuol dire inseguire un sogno e fare dei sacrifici per rincorrerlo, anche se arriva il momento in cui ti chiedi se ne vale la pena (o peggio, se sei tu a valerne la pena).

Io raccomandata non lo sono mai stata, questo sia chiaro. E se oggi ho imparato a navigare piuttosto bene nel mare agitato del precariato, a testa alta -anche se con un punto di domanda grosso come una casa sul domani -, se ho imparato a non piangermi addosso e a rimboccarmi le maniche non arrendendomi mai e tenendo in piedi tre, quattro lavori in un colpo che insieme rendono economicamente come mezzo, è perché devo ringraziare chi, finora, in me non ha mai smesso di credere.

Non sono in molti, potrei citarli uno ad uno, ma so che a loro non fa piacere la pubblicità.

Alcuni mi conoscono da sempre: due in particolare mi hanno fatto nascere e mi hanno cresciuto, insegnandomi i valori del non tutto dovuto, dell'onestà - che alla fine dovrebbe pagare sempre -, e dell'umiltà.

Un altro è stato una sorpresa, e a lui va tutt'ora la mia stima. Questo signore, colto e gentile, che ancora oggi imbroglia l'anagrafe, mi seguiva tutte le mattine in tv: gli piaceva la mia trasmissione. Non so se per caso o per destino, ma è stato lui a illuminarmi, a credere nel mio progetto, ad aiutarmi a svilupparlo. E a dirmi, sempre dandomi del garbato "Lei", quelle parole magiche: "voi giovani non dovete permettere a nessuno di togliervi la speranza". Una profetica raccomandazione, tre anni prima di Papa Francesco.

Chi ha creduto in me - o così spero: in ogni caso l'effetto benefico c'è comunque - è anche un Collega (con la maiuscola, perché è uno che il mestiere lo conosce bene): mi ha sempre incoraggiata, mi ha sempre detto "vai avanti". E così ho fatto: comunque vada.

Ecco: è sapere che c'è chi crede in noi, sapere che valiamo qualcosa, che non siamo spreco di spazio, ma nel nostro piccolo siamo speciali, originali: è tutto questo il seme della Speranza. Ed è questo il motore del nostro futuro, un futuro che ci stiamo creando con le nostre mani, anche se non è facile, anche se ce lo guadagniamo a "lacrime e sangue", ma che è (sarà) tutto meravigliosamente nostro, nonostante il brutto mondo che ci piove addosso. Io ci credo e spero proprio di non dover rivedere da qui a pochi giorni il mio ottimistico punto di vista.
Perché nonostante tutto, sono ancora convinta che se questi sono i presupposti, prima o poi, il buono arriverà.

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