domenica 12 maggio 2013

La lezione di Olimpia

Quando si ha la fortuna di intraprendere un viaggio, staccando la spina con la vita di tutti i giorni, si impara sempre qualcosa. O per lo meno, si risveglia in noi (oltre che un senso di spensieratezza che la vita frenetica di ogni giorno ci ruba), anche un senso insito di coscienza, di consapevolezza. Su noi stessi, su quello che ogni giorno facciamo, su quello che diamo o potremmo dare per fare di più e meglio, o se invece stiamo dando forse troppo, sprecando così energia e tempo preziosi.

Nell'antica Olimpia, dove un gruppo di appassionati greci inventò i Giochi Olimpici tanti, tanti anni fa, ho riscoperto il significato della parola "onore", per esempio. L'onore ha tante sfaccettature: l'onore più grande e alto per me l'ha avuto chi ha combattuto per l'Italia e per la Libertà perdendo la vita, o chi prima di morire ha guardato in faccia i suoi assassini dicendo "vi faccio vedere io come muore un italiano". Ecco, questo è il più alto significato di onore che io conosca. Ma ci sono anche altre sfumature, che ben lo descrivono.

Zigzagando tra i preziosi reperti archeologici di Olimpia (c'è chi le chiama rovine, ma io preferisco chiamarli così), accecata da un sole di maggio che sembrava quello di luglio, ecco la rivelazione. Nel Gymnasium, dove i giovani atleti greci si allenavano, studiavano e imparavano (più o meno come nel ginnasio di oggi, ma senza fare scioperi perché la carta igienica è ruvida) ci spostiamo nel luogo dove gli atleti un tempo gareggiavano: l'antenato dello stadio. In molti viaggiavano chilometri per mare e per terra per competere lì per le Olimpiadi, in molti (spettatori compresi) morivano di sete o di caldo durante quei giorni. E chi vinceva era uno solo, non c'erano secondi, terzi, quarti classificati. Niente medaglie, né tanto meno quelle d'argento o di bronzo: il secondo arrivato era il più grande sconfitto.
Si imparava, ci si allenava, si sudava, si gareggiava, si vinceva per l'onore, non per premi e premiucci, non per soldi o per potere. Onore che chi oggi è al potere, chi "vince", non credo sappia cos'è. Hanno più onore coloro che rinunciano alle loro ambizioni, rinunciano ai loro sogni per spaccarsi la schiena lavorando, così da poter mantenere la famiglia, e magari far studiare i figli.
Hanno più onore ragazzi e genitori che per dieci mesi lavorano per mare, sulle crociere, lontano dalle loro fidanzate e dai loro figli di un anno, per poter guadagnare qualcosa in più.
Non è retorica, è che non ci si pensa abbastanza, perché sono mondi lontani, storicamente in un caso, socialmente in un altro. A volte, a fare la differenza in una persona, sia essa un politico o un operaio, una casalinga o una manager con tacchi a spillo, è solo questione di dignità: in una parola sola, onore.

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